La meditazione e i canti sono due elementi chiave della pratica buddhista. Si tratta di una continuazione degli insegnamenti del Buddha, dal momento che possono portare pace e realizzazione, e contribuiscono a condurre una vita più felice. Vi sarà capitato, osservando un’immagine del Buddha, di percepirlo come una presenza rassicurante e stabile. Queste sono qualità che la meditazione può suscitare anche in noi. Anche il canto è considerato utile per rafforzare queste qualità. Cosa sappiamo dunque del Buddha e del sentiero che ha insegnato?
L’insegnamento del Buddha sulla meditazione
L’Ottuplice sentiero buddhista è un modo di vivere e di esercitare la mente, insegnato da Gotama Buddha nel V secolo a.C. Nato da una famiglia benestante, Gotama aspirava a trovare una via per accedere alla libertà. Lasciato il suo palazzo, praticò un approccio austero alla meditazione e, a volte, anche l’auto-mortificazione. Ma queste pratiche non portavano né pace né saggezza. Un giorno, però, si ricordò di una semplice meditazione, chiamata jhāna, che aveva trovato da solo, da giovane, sotto un albero di mele. Jhāna è uno stato di centratura pienamente gioioso e pacifico. Gotama si chiese allora se la via per la libertà potesse essere proprio questa. Praticò questa e altre meditazioni sotto l’albero della Bodhi, e trovò «la via di mezzo»: un percorso per liberare la mente dal circolo vizioso dell’infelicità e della sofferenza. La meditazione è dunque un elemento centrale di questa via.
Il sentiero insegnato dal Buddha dopo il suo risveglio è espressione dell’equilibrio della via di mezzo. I primi due fattori influenzano il modo in cui pensiamo e comprendiamo gli eventi: la retta visione e la retta intenzione. Alcuni riguardano il modo in cui ci comportiamo con noi stessi e con gli altri: retta parola, retta azione e retta vita. Gli ultimi tre invece riguardano la meditazione e la pratica sperimentata dal Buddha: retto sforzo, retta consapevolezza e retta concentrazione. La via di mezzo e l’equilibrio si possono trovare in tutti questi ambiti della vita.
Samatha e vipassanā
Si dice che nel sentiero buddhista per trovare il giusto equilibrio siano necessarie due qualità, la calma e l’intuizione. Alcune meditazioni pongono l’accento sull’aspetto dell’intuizione: vedere l’insoddisfazione, l’impermanenza e l’assenza di un sé permanente negli eventi che si presentano nella vita e nella mente. Questo aspetto è chiamato appunto «intuizione» (vipassanā) ed è collegato ai primi due fattori del sentiero. Altri tipi di meditazione si concentrano maggiormente sulla calma e sulla ricerca della quiete, della felicità e della concentrazione, che spesso per gli occidentali sono elementi necessari. Samatha significa «calma» ed è una pratica legata al jhāna. Si concentra sulla pace e sugli stadi più profondi della meditazione, che portano a una serena equanimità e all’equilibrio. Ed è connessa agli ultimi tre fattori del sentiero.
Abbiamo bisogno di calma e intuizione per la gran parte della nostra vita. Ma abbiamo anche bisogno di un po’ di felicità e tranquillità altrimenti, semplicemente, quello che facciamo non ci piace e ci sentiamo infelici e sotto pressione. Molti giovani e molti occidentali sentono quindi il bisogno di una pratica che contribuisca a sviluppare calma e tranquillità. Ma bisogna anche avere la consapevolezza dei «tre segni»: che nulla può essere perfetto, che le cose cambiano e che anche noi cambiamo. In realtà è una buona notizia: se il risultato tuo lavoro non è esattamente come lo immaginavi, è insoddisfacente, o se ti alzi di cattivo umore, è utile riflettere sul fatto che non si tratta necessariamente di un sé permanente: è un sé che ci si presenta così, ma non siamo costretti a mantenerlo!
La meditazione buddhista
In genere la meditazione buddhista fa riferimento a un oggetto semplice, spesso il respiro, e ricorre a tecniche utili per praticare la consapevolezza e suscitare la presenza mentale. Seguire l’inspirazione e l’espirazione porta pace e tranquillità. Se proviamo un po’ di quiete e felicità seguendo il respiro, possiamo sentirci tranquilli e centrati anche per tutta la giornata. La calma nasce dal fatto che la consapevolezza del respiro è piacevole e produce un senso di unità: il meditante può quindi sviluppare jhāna. Il respiro suscita anche l’intuizione, perché nel suo costante fluire e rifluire la mente si sente a proprio agio e nell’alternanza di inspirazione ed espirazione vede l’impermanenza. Quando sono presenti sia la calma che l’intuizione, la meditazione è in equilibrio. I testi descrivono molte meditazioni di questo tipo, assai diverse. La meditazione di gentilezza amorevole (mettā-bhāvanā), ad esempio, è una pratica popolare di calma legata alla consapevolezza che aiuta a sentirsi a proprio agio con sé stessi e con gli altri. In questa meditazione si desidera la propria felicità e quella di tutti gli altri esseri. Se si è gentili con sé stessi, sarà più facile provare gentilezza per gli altri.
Queste meditazioni sono connesse ai tre fattori etici del sentiero, la retta parola, la retta azione e il retto sostentamento. Si dice che proteggano la mente nella vita quotidiana e costituiscono un importante fondamento per la meditazione in generale.
Le immagini del Buddha
Anche le immagini e le raffigurazioni del Buddha sono importanti per la meditazione, perché sono insegnamenti in forma visuale. Chiunque può guardare un Buddha e apprezzarne la calma, la tranquillità e, talvolta, il sorriso. Tradizionalmente, questi ausili erano molto importanti nelle società non alfabetizzate. Per cogliere un senso di equilibrio e stabilità, bastava vedere un Buddha con le spalle rilassate e la schiena dritta ma non rigida. Nei secoli dopo la morte del Buddha, il buddhismo si è diffuso dall’India al sud-est asiatico, all’Indonesia, alla Cina, alla Corea, al Giappone e al Tibet. Non sorprende dunque che nelle immagini i tratti del Buddha somiglino a quelli delle diverse popolazioni di queste regioni, e che cambino di conseguenza anche gli abiti e le decorazioni. Nelle immagini compaiono spesso anche divinità locali, familiari per la cultura di riferimento. Dopo una dura giornata di lavoro, chiunque visitando un tempio poteva «leggere» senza un’immagine del Buddha o una raffigurazione della sua vita e delle sue vite passate, sentendo ristoro nella mente e nel corpo.
Queste immagini erano e sono utilizzate come oggetti di devozione. Ci si siede o ci si inginocchia al loro cospetto, si offrono fiori, ceri o incenso e si medita in silenzio o intonando un canto. Per il praticante è un modo per rendere omaggio al Buddha e onorarlo, sperando che le qualità rappresentate nell’immagine possano emergere anche in lui. Il Buddha rappresenta la mente umana nella piena espressione delle sue potenzialità di grande comprensione, calma e profonda saggezza. Secondo il buddhismo, questa saggezza risvegliata e questa pace sono accessibili anche a tutti gli esseri umani, ma vanno coltivate o trovate. Per i buddhisti, o anche per chi si interessa al buddhismo, mettersi a sedere davanti a una figura del Buddha e renderle omaggio può bastare per sentire una connessione intuitiva con il sentiero buddhista e la via della libertà.
I canti buddhisti
Alcune meditazioni vengono praticate in forma di canti, come la presa di rifugio nel Buddha, nel suo insegnamento e nella comunità dei suoi seguaci. Ci sono anche canti più lunghi, detti «rimembranze» (anusṃrti/anussati), riflessioni sulla possibilità di una mente risvegliata, sull’insegnamento che può suscitarla e su altri esseri che hanno seguito la via della libertà e la insegnano.
I canti contribuiscono a portare senso e scopo nella vita vengono spesso praticati in comunità. Grazie ai canti, chiunque, ovunque si trovi, può percepire una connessione con il sentiero buddhista: rasserenano la mente per entrare in meditazione o per sentirsi parte di un gruppo più ampio in un tempio. Alcuni canti che ricordano le qualità del Buddha vengono utilizzati anche nella vita quotidiana, al di fuori del tempio. Ad esempio, i buddhisti possono intonare una semplice rimembranza del Buddha mentre lavorano o durante le attività quotidiane. Sentono così che grazie al canto ogni singolo gesto viene trasformato. Quando diventa una pratica naturale, il praticante sente di poter rinascere in una Terra Pura, un regno paradisiaco sulla via della liberazione. Secondo alcuni praticanti questo paradiso è la mente stessa, quando è libera da distrazioni e problemi.
Per la maggior parte dei buddhisti, i canti sono un aiuto nella vita quotidiana. Molti riprendono i «rifugi», la protezione del Buddha, dell’insegnamento (Ddhamma) e della comunità dei seguaci (sangha). Spesso rinnovano anche l’impegnano a rispettare i cinque precetti: non fare del male agli altri, non rubare, non usare il corpo per attività sessuali che possono danneggiare se stessi e gli altri, non mentire e non ubriacarsi. Questi impegni sono legati alla componente etica dell’ottuplice sentiero: retta azione, retta parola e retta vita. I precetti sono una garanzia della completezza del sentiero e sono visti come un fattore di protezione, che porta sicurezza nella meditazione e nella vita quotidiana evitando di provocare danni o preoccupazioni. Sono elementi chiave di ogni tradizione buddhista.
Le visualizzazioni come ausilio per la meditazione
Alcune forme di buddhismo, in particolare in Tibet, Cina e Giappone, insegnano la visualizzazione come mezzo utile per la meditazione. Il praticante visualizza un’immagine del Buddha e sente le sue qualità sorgere dentro di sé. Il metodo viene sempre insegnato da un maestro.
A volte le pratiche di visualizzazione si concentrano su una figura detta Bodhisattva, spesso raffigurata come un dio o una dea, che ha rimandato la propria illuminazione per aiutare e insegnare agli altri esseri come liberarsi dalla sofferenza. Si fanno offerte e si cantano sillabe sacre (mantra).
Nelle visualizzazioni si richiama spesso alla mente l’immagine di altri dei e divinità di supporto in un mandala (un disegno circolare). L’intera immagine, con il cerchio di esseri al suo interno, è protetta dai guardiani delle quattro direzioni, che hanno una visione d’insieme e una certa stabilità. Secondo alcuni, portano anche equilibrio dentro di noi tra i quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. A volte, il mandala che custodiscono raffigura divinità furiose e potenti. Sono tutti simboli di varie energie o diversi aspetti della nostra mente, tra cui si può stabilire l’armonia. Al centro, il Bodhisattva, o il Buddha, rappresenta la possibilità di quiete in tutti i mondi. Alla fine delle visualizzazioni è importante ringraziare i Bodhisattva e invitarli ad andare via.
Tutte le tradizioni buddhiste insistono sull’importanza di essere «presenti» a ciò che si sta facendo momento per momento e di lasciar andare ciò che si è appena finito di fare: dopo la meditazione è dunque necessario tornare alla vita normale.
La meditazione Zazen
Un’altra forma di meditazione consiste nel mettersi a sedere accogliendo tutto ciò che accade: si arriva così alla comprensione attraverso l’osservazione dei processi della mente e del corpo, dei suoni, delle impressioni tattili e dei cambiamenti nel sentire. Questo tipo di meditazione è detto Zazen ed è stato sviluppato da alcune scuole buddhiste di Cina, Corea e Giappone.
Come abbiamo visto in questa sintesi, nel Buddhismo esistono molti tipi di meditazione. Tutte mirano a ritrovare l’equilibrio e a portare calma e intuizione. Nei primi testi, il Buddha insegna anche meditazioni adatte a una persona in particolare, commisurate alle sue esigenze. Questo avviene anche oggi: affinché la meditazione sia efficace, è necessario che sia adatta a chi la pratica e a ogni nuova tappa del suo percorso. Gli elementi dell’ottuplice sentiero sono tutti ugualmente importanti: tutti si sostengono reciprocamente e dipendono l’uno dall’altro.