«Gli ascolti» di Ennio Speranza. Una produzione Gate – Il portale dell’Unione Buddhista Italiana. Sesto ascolto, «Le Déserteur» di Boris Vian.
«Il disertore di Boris Vian interpreta la stanchezza generale e il sentimento condiviso che bisogna farla finita una volta per tutte con la cosiddetta fatalità della guerra che è tutto tranne che fatale. Ma nonostante ciò la canzone subì un pesante ostracismo mediatico. A chi lo accusava di essere antimilitarista – e la cosa all’epoca era un modo mascherato per dargli dell’antinazionalista – Vian replicò che la sua canzone non era per nulla antimilitarista, ma semmai «violentemente filo-civile». Paul Faber, consigliere municipale di Parigi, riuscì a ottenere il divieto di trasmissione radiofonica della canzone. Come risposta, guarda caso, Boris Vian gli scrisse una ironica lettera aperta indirizzata a «France Dimanche» e datata primo febbraio 1955 in cui si leggeva, tra l’altro: «D’altronde morire per la patria è molto bello, ma bisogna che non muoiano tutti, perché altrimenti dove sarebbe la patria? Non è la terra: la patria, sono le persone. Non sono i soldati: sono i civili che devono difenderla. E i soldati non vedono l’ora di ritornare civili, perché questo significa che la guerra è finita».