A sud-est di Mumbai, su una catena di aspre colline, un cammino sale tortuoso fino all’ingresso delle Grotte di Karla. Durante i weekend e le festività, quando i pellegrini affollano il vicino tempio, le grotte echeggiano di passi e voci. Ma quando il monsone adombra la valle e le cascate scendono impetuose dalle rocce circostanti, non è difficile immaginare il senso di solitudine che diciannove secoli or sono attirò in questi luoghi i primi monaci buddhisti.
Sebbene nelle vicinanze si trovino altri complessi buddhisti di grotte, in India non c’è nulla di paragonabile alla Grande Chaitya, o sala di preghiera, di Karla: penetra nel profondo della roccia, con un alto soffitto rinforzato da nervature di teak annerite dal tempo e due ali di colonne riccamente decorate che proseguono fino allo stupa in fondo, dove i monaci un tempo circumambulavano infinite volte intorno a una reliquia del Buddha. In alto sulle colonne, chiare iscrizioni in alfabeto brahmi commemorano i donatori che contribuirono alla costruzione della sala fornendo solo qualche scarna informazione, quale nome, luogo di nascita e poco altro. Ma in sei casi riportano un particolare in più: il fatto cioè che il donatore era uno yavana, un greco.
I greci misero piede per la prima volta in India due secoli prima della realizzazione delle Grotte di Karla, quando Alessandro Magno entrò nel Punjab alla testa del suo invincibile esercito. Il condottiero rimase nel subcontinente per un anno e mezzo, durante il quale sconfisse sovrani locali, sottomise città e lasciò una serie di guarnigioni dietro di sé. Poi se ne andò. All’inizio la presenza greca in India non sembrava destinata a durare. Solo pochi anni dopo la morte di Alessandro, le satrapie che egli aveva creato in India furono infatti assorbite dall’impero in espansione di Chandragupta Maurya, i cui successori governarono gran parte dell’India per oltre un secolo. Ma quando la dinastia Maurya iniziò a sgretolarsi, i greci erano lì appostati ai confini.
Nella regione immediatamente a nord-ovest dell’India, nei territori oggi occupati dall’Afghanistan e dalle repubbliche dell’Asia centrale, sorgeva il regno greco di Battria, famoso per le sue ricchezze e per le sue «mille città». I re battriani erano quasi costantemente in guerra, tra tentativi di secessione dai Seleucidi, incursioni contro i neoarrivati Parti e azioni militari volte a respingere gli attacchi provenienti dalle steppe. Quando dunque nell’India settentrionale venne crearsi un vuoto di potere, essi furono pronti ad approfittarne.
L’esatto succedersi degli avvenimenti non è chiaro, ma pare che il re battriano Demetrio I invase l’India all’inizio del II secolo a.C., conquistando un vasto territorio a nord-ovest. Poco più tardi, probabilmente a seguito di una guerra civile, la provincia indiana divenne uno stato greco indipendente. I monarchi del nuovo regno indo-greco ben presto si trovarono a governare su un’area assai più vasta di quella conquistata a suo tempo da Alessandro. Seppur con alterne fortune, alcune zone dell’India settentrionale rimasero sotto il loro dominio fino al I secolo d.C.
Troppo poco numerosi e troppo isolati per rimanere una classe a se stante, i greci in India iniziarono in breve tempo ad adottare gli usi e costumi locali. Intorno alla fine del II secolo a.C., Eliodoro, ambasciatore del re indo-greco Antialcida, fece erigere accanto a un tempio indù un’imponente colonna in onore del dio Vasudeva. Tuttavia, fu soprattutto un’altra tradizione religiosa indiana ad attrarre gli indo-greci: il buddhismo.
Quando Alessandro Magno giunse in India, il buddhismo si era già diffuso nella parte nord-occidentale del subcontinente e aveva continuato a fare convertiti durante tutta l’epoca maurya. Ashoka, il più grande degli imperatori della dinastia Maurya, ne era stato un instancabile promotore, fondando monasteri, facendo costruire stupa e inviando monaci incaricati di predicare la dottrina buddhista presso tutte le popolazioni vicine, greci compresi. Oltre a ciò, aveva commissionato decine di monumentali iscrizioni che enunciavano a grandi linee i precetti etici del buddhismo. Due di queste erano scritte in un greco elegante e sofisticato, segno che più di qualche ellenico era coinvolto nel progetto di proselitismo dell’imperatore. Le iscrizioni dicono che furono inviati missionari buddhisti presso tutti i regni greci d’Oriente. Anzi, secondo quanto sostiene una tradizione buddhista successiva, alcuni erano essi stessi greci.
In breve, molti greci d’Oriente già conoscevano il buddhismo quando i Battriani conquistarono l’India nord-occidentale. Nel giro di un secolo anche alcuni dei più illustri esponenti del nuovo regno indo-greco si professavano ormai buddhisti: per esempio, un governatore provinciale di nome Teodoro appose una sua dedica in un reliquiario buddhista e un altro governatore fece costruire uno stupa. Molti greci facoltosi, come i benefattori di Karla, erano commemorati come donatori nei monasteri rupestri buddhisti.
Menandro I, il sovrano sotto il quale il regno greco in India raggiunse l’apice della potenza e della prosperità, era quasi certamente buddhista. Patrocinò santuari buddhisti, fece incidere su alcune monete la ruota del dharma a otto raggi e comparve persino – seppur molto tempo dopo il suo regno – in un testo buddhista come arguto protagonista di un dialogo con un monaco erudito. Quando morì, le sue ceneri furono portate in vari stupa, dove furono conservate divenendo oggetto di devozione come reliquie del Buddha stesso. I successori di Menandro ne ripresero apparentemente le politiche filobuddhiste, tanto da comparire in molti casi sulle monete con la denominazione di «seguace del Dharma». A Taxila, la loro capitale, accanto ai templi dedicati a divinità hindu e greche sorsero un santuario e alcuni stupa buddhisti.
Verso l’inizio del I secolo d.C., proprio mentre il regno indo-greco andava disgregandosi, si riallacciarono i contatti tra India e resto del mondo ellenico. I mercanti di Alessandria d’Egitto avevano infatti scoperto che i venti monsonici potevano garantire viaggi via mare rapidi e relativamente sicuri dall’imbocco del Mar Rosso alla costa occidentale indiana e così, per soddisfare l’incessante domanda di spezie proveniente da Roma, ben presto centinaia di navi iniziarono ad attraversare il Mar Arabico. Plinio il Vecchio espresse tutto il proprio disappunto per i 100 milioni di sesterzi in oro e argento che ogni anno venivano spesi sul mercato indiano per l’importazione di merci pregiate. Anche se non nei numeri, le sue rimostranze sono confermate nella sostanza dalle grandi quantità di monete romane che ancora oggi vengono periodicamente ritrovate dagli archeologi in tutta l’India.

Nonostante i contatti con l’India e con gli indiani, i greci del mondo mediterraneo rimasero praticamente ignari del buddhismo. Nel descrivere la religione indiana, i testi greco-romani confondono le tradizioni indù, buddhista e jainista, e sembrano fortemente influenzati dai resoconti dei primi incontri di Alessandro con gli asceti indiani, che i greci chiamavano «gimnosofisti», o filosofi nudi. La prima menzione esplicita del Buddha in un testo classico si trova in Clemente Alessandrino, il quale cita di sfuggita una setta di filosofi indiani che venerava come un dio un certo «Boutta» per via della sua santità. Un altro riferimento casuale appare in un’opera di San Gerolamo, che erroneamente descrive il Buddha come il fondatore di una setta di gimnosofisti.
Malgrado la scarsa conoscenza, il buddhismo potrebbe aver influenzato un importante movimento di pensiero greco. Il filosofo Pirrone di Elide, che aveva accompagnato Alessandro in India e lì aveva conversato con monaci e asceti, tornò in Grecia insegnando che il fine dell’esistenza era la liberazione dalle preoccupazioni e che l’unico modo per raggiungere questo fine era sospendere ogni giudizio sulla natura della realtà. Il parallelo con il buddhismo – in particolare, con il concetto di virtù quale mezzo per sottrarsi alla sofferenza – è certo intrigante, ma non è ancora chiaro fino a che punto Pirrone trasse realmente ispirazione dal buddhismo.
In ogni caso, anche ammesso di poter dimostrare le radici indiane dello scetticismo di Pirrone, il buddhismo non fu mai una presenza significativa nel Mediterraneo greco-romano. Ma in India, dove molti greci si convertirono e lo sostennero, l’incontro tra Oriente e Occidente ebbe conseguenze durature. Dopo secoli in cui era stata consuetudine rappresentare il Buddha con simboli (spesso impronte di piedi, un seggio vuoto o l’albero della bodhi), negli ultimi anni di vita del regno greco iniziarono a comparire sue rappresentazioni antropomorfe.
Queste prime immagini del Buddha, associate soprattutto alla regione del Gandhara, mostrano chiari segni di influenza greca. Innanzitutto, come le statue classiche, sono in posizione eretta, con espressioni e acconciature simili a quelle greche. Inoltre, indossano tuniche con l’elegante drappeggio a pieghe tipico dell’arte ellenistica.
Pare dunque evidente che l’arte greca incise profondamente sull’evoluzione dell’immagine del Buddha, anche se non è stato ancora chiarito con precisione in che tempi e modi. Praticamente tutte le testimonianze artistiche del Gandhara giunte sino a noi sono successive alla caduta dei regni greci, il che sembra contraddire l’idea secondo cui le loro convenzioni furono concepite da artisti battriani o indo-greci. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che la scultura greca abbia influenzato l’evoluzione dell’immagine del Buddha in maniera meno diretta, forse per mezzo di beni commerciali portati in Asia centrale da mercanti parti o palmireni. Un’altra teoria sostiene che furono le idee e gli artisti greci giunti in Oriente lungo le trafficate rotte commerciali del Mar Rosso a mettere in contatto l’Alessandria romana con i porti dell’India occidentale.
Ciò che interessa a noi non sono tanto i canali trasmissione quanto il fatto che i modelli e l’iconografia dell’arte greca furono essenziali per l’evoluzione di un’immagine sempre più standardizzata del Buddha. Immagine che avrebbe avuto una lunga storia, spostandosi con la fede buddhista in Asia centrale, Cina e Giappone, e modificandosi nel mentre. Eppure, ancora oggi, nei santuari di tutta l’Asia e non solo, essa reca tracce, sbiadite ma tangibili, dell’incontro avvenuto duemila anni fa tra il mondo greco e il buddhismo.