Un’espressione aniconica del Buddha
Con il termine stūpa non si intende il «tempio», ovvero un edificio sacro nel quale è possibile entrare per compiervi gli atti di culto, ma una struttura piena monumentale dunque non penetrabile, con la quale il devoto entra in rapporto praticando intorno ad essa la circumdeambulazione (parikramā) in senso orario (pradaksinā). Questo monumento funerario ha quasi certamente origine dal tumulo funerario, elemento comune, a cominciare dal Neolitico, alla più parte delle culture, India antica compresa.
Nell’India prebuddhistica i tumuli funerari dei santi asceti erano venerati come luoghi sacri. Proprio l’andamento cupoliforme di tali strutture piene costituirebbe l’origine dello stūpa. La cupola (anda) potrebbe essere stata in seguito assimilata come forma sacra in ambito buddhistico, allusiva delle proporzioni del corpo del Buddha colto in atteggiamento di meditazione (dhyānasāna). Come è noto, l’arte buddhistica dei primi secoli è contrassegnata dall’aniconismo, ossia l’assenza di rappresentazioni materiali del mondo naturale e soprannaturale. Una delle immagini non antropomorfiche che indirizzano al Buddha è proprio lo stūpa che rimanda all’«estinzione del corpo fisico» (parinirvāna) del Risvegliato.
Similitudini
È ravvisabile una precisa relazione formale tra la configurazione dello stūpa e il corpo del Risvegliato. Il plinto, la fondazione di base quadrangolare, rappresenterebbe il trono sul quale siede il Buddha, quando non le sue stesse gambe incrociate nella postura (āsana) detta della «folgore adamantina» (vajrāsana) o del «loto» (padmāsana). La cupola asseconda il profilo delle spalle del Buddha assiso in meditazione. Nella balconata di pietra (harmikā, o montagna cosmica, posta sulla cima) troverebbero posto il capo e gli occhi, così come spesso evidenziati negli stūpa nepalesi. Il pinnacolo (yasti) corrisponde alla prodigiosa protuberanza cranica (usnīsa) asse dell’universo.

Utilizzo
La devozione agli stūpa non veniva particolarmente favorita in antichità. In origine erano le parole – che mostrano I’opportunità di ammirare il «triplice gioiello» costituito dal Buddha, dal Dharma e dalla comunità (Saṃgha) – ad essere considerate gli autentici «monumenti al Dharma». Gran parte dell’importanza attribuita dai seguaci del Buddha al culto dello stūpa risiede nella dottrina dell’accumulazione dei meriti (punya), accumulazione tradizionalmente distinta in «merito fisico» e «merito mentale». La circumdeambulazione dello stūpa garantisce l’accumulo del primo tipo di merito anche se involontaria.
Il Pradaksināsūtra (si potrebbe tradurre come sutra della «sapienza trascendente», intendendo quest’ultimo termine nel significato di «non mondano») contiene l’elogio dei meriti relativi all’edificazione e al culto dello stūpa. La «distruzione di uno stūpa» (stūpābhedānam) è, per converso, considerata una delle «cinque azioni non virtuose estremamente gravi secondarie» (pāncaupānantarya) di immediata retribuzione. Inoltre, qualsivoglia atto di omaggio venga rivolto ad uno dei «tre gioielli», viene rivolto contemporaneamente anche agli altri. Il costrutto della dottrina è talmente interconnesso che non si può mai prescindere dal riferirsi, partendo da uno qualunque degli elementi costitutivi, alla struttura architettura complessiva.
L’origine del culto delle reliquie
Appare ragionevole avallare l’ipotesi che vede nella devozione allo stūpa il germe di quei processi di deificazione del Buddha e dei bodhisattva da un lato, e di ampliamento della possibilità della pratica della dottrina a sempre più vasti settori della popolazione dall’altro, che verranno portati a piena maturazione dalla corrente Mahāyāna (dal II sec. d.C). All’estinzione del corpo fisico del Buddha, sorse il problema della suddivisione delle reliquie rimaste dalla cremazione. Come descritto nel Mahāparinibbānasūttanta (il Grande discorso che riporta i discorsi di commiato del Buddha prima della sua definitiva estinzione), i sacri resti vennero divisi tra i rappresentanti di otto contesti politico-militari presenti nell’India di quel periodo. Sul racconto di quella ripartizione si appoggia la tradizione architettonica che vede la diffusione di otto tipologie strutturali di stūpa, varianti che andranno a commemorare gli otto eventi maggiori tramandati dalI’agiografia del Risvegliato:
- la Nascita avvenuta presso Lumbhinī;
- il Risveglio a Bodhgayā;
- la Messa in moto della ruota della dottrina, cioè la Prima predicazione, a Sarnāth;
- la Discesa dal cielo dei trentatre dei Sankāsya;
- l’Esecuzione di miracoli a Srāvastī;
- la Riconciliazione della comunità monastica a Rājagrha;
- il Prolungamento volontario della vita a Vaisālī;
- l’Estinzione del corpo a Kusinagara.
Simbolo religioso
Nel tempo, lo stūpa si è caricato di simbolismi fino a che ogni sua componente architettonica è venuta a simboleggiare una parte costituente essenziale tanto del macrocosmo universo che del microcosmo umano. Come osserva il Tucci: «Il Buddhismo costruì il complicato simbolismo architettonico di un monumento che può essere insieme tomba, reliquiario, cenotafio e si chiama stūpa; così esso compiva un notevole passo in avanti, siccome alla persona del re, divina ma pur sempre legata alla terra, sostituiva un valore spirituale, il Dharma, la legge, il supremo verbo di cui la parola del Buddha e l’eco o il riflesso e che diverrà esso stesso l’Ente assoluto, il piano nirvanico del puro essere, e poi, in un secondo tempo, la fonte inesausta di tutto ciò che è». Lo stūpa è considerato la rappresentazione simbolica della mente che gradualmente acquisisce la condizione di bodhi, o risveglio. Al contempo è l’epitome architettonica della concezione cosmologica del Buddhismo descritta dall’Abhidharma.
Ma lo stūpa implica innanzitutto la dottrina della unione dei «corpi di Buddha» (buddhakāya). Le cinque componenti geometriche la cui aggregazione struttura lo stūpa corrispondono in prima istanza ai cinque «elementi grossi” (mahābhuta) ai cinque «aggregati sottili» (skanda). Si constata innanzi tutto che la sequenza degli elementi grossolani sia ordinata a partire dal basso, dalla sostanza più densa, per giungere verso l’alto alle sostanze progressivamente più sottili. Dal più grosso al più rarefatto, dal meno sottile al più sottile. La base quadrata dello stūpa corrisponde pertanto alla terra; la cupola all’acqua; la harmikā al fuoco; l’asse del parasole all’aria; il pinnacolo allo «spazio vibrante» (ākasa).
Al progredire della riflessione filosofica corrisponde puntuale l’arricchirsi dello stūpa di ulteriori elementi architettonici, quali il plinto di sostegno, l’edicola parallelepipeda sulla sommità della cupola, i gradoni. La progressiva verticalizzazione, la definizione di otto tipologie di questo monumento per commemorare altrettanti episodi della vita del Buddha ed il variare della pianta costituiscono i fattori formali più evidenti dell’evoluzione dello stūpa, e tutti i suoi esiti risentiranno concretamente dei fattori ora citati. Gli elementi dell’architettura simbolica provvedono quindi la base per significati sempre più articolati.

Strutture poste nelle immediate vicinanze dello stūpa, quali i «portali» (torana), il «recinto» (vedikā), il «sentiero circumdeambulatorio» (pradaksināpatha), in quanto annessi integranti del monumento hanno fornito la materia per ulteriori arricchimenti del simbolismo. Per solo limitarsi ad un elenco di ulteriori significati simbolici tramandati dalla letteratura dell’Abhidharma, ognuno dei quattro lati del basamento dello stūpa si riferisce ad una delle quattro «divine dimore» (brahmāvihāra): amore, compassione simpatetica, gioia ed equanimità. Poiché hanno per oggetto gli esseri trasmigratori, il numero dei quali viene considerato non computabile, questi alti sentimenti vengono anche chiamati «quattro pensieri incommensurabili». Ma i quattro lati rappresentano inoltre anche le «quattro nobili verità». Il fatto poi che i quattro lati siano uguali sta a significare l’identità, sul piano assoluto, degli esseri illuminati con quelli non illuminati. Il primo elemento d’una serie di gradoni decrescenti, spesso posti a raccordo tra il plinto e la cupola, simboleggia le quattro «consapevolezze di base» aventi per oggetto: l’impermanenza del corpo e delle sensazioni, l’insostanzialità dei pensieri e dei fenomeni. La venerazione allo stūpa rientrerebbe nelle «strumentalità intelligenti» che lo spirito altruistico del risveglio mette in atto, alla stregua di santi espedienti, per urgere gli uomini alia salvezza.
Sempre per concludere con le parole di Giuseppe Tucci: «Vera e propria sintesi dell’architettura simbolica asiatica, si è visto come lo stūpa esprima più significati allo stesso tempo, rappresentando in modo esemplare l’adattabilità del simbolo religioso all’espressione simultanea di contenuti molteplici. Tali contenuti, fondati sul concetto di identità tra microcosmo individuo e macrocosmo universo, possono poi essere interpretati, da parte dei differenti fruitori, a seconda delle capacità di valutazione del medesimo simbolo».