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Il prossimo Buddha sarà un collettivo

L’espressione religiosa e spirituale è sempre legata a una struttura sociale. Se le strutture sociali tendono a ridefinirsi sul modello delle reti distribuite, quale evoluzione possiamo aspettarci per l’espressione spirituale? In questo saggio descriveremo, in primo luogo, le trasformazioni generali che vediamo ora emergere nella società e da cui ci aspettiamo una sempre maggiore diffusione in futuro. Dopodiché esamineremo la portata del loro impatto sull’espressione spirituale individuale e collettiva. Il lettore dovrà perdonarci la prima parte, più generale, in cui viene spiegato il funzionamento del peer-to-peer, che servirà a comprenderne l’applicazione alla spiritualità, oggetto della seconda parte del saggio. Infine, nella terza e ultima parte, discuteremo alcuni esempi concreti.

 

 

Prima parte: l’emergere del principio P2P nella società

 

Introduzione

L’espressione spirituale e i modelli di organizzazione religiosa in cui si manifesta sono sempre legati a una struttura sociale. Potremmo dire, per esempio, che le forme religiose tribali, come l’animismo e lo sciamanesimo, non conoscono strutture gerarchiche particolarmente complesse dal momento che si sono sviluppate in seno a strutture sociali costituite da relazioni di parentela abbastanza egualitarie. Le grandi religioni organizzate, invece, sono sorte all’interno di società gerarchizzate, e presentano dunque strutture gerarchiche molto intricate, concezioni monologiche  della verità e pretendono piena obbedienza da parte dei propri membri. La Riforma Protestante, in tutte le sue ramificazioni, ha fatto proprie le diverse caratteristiche democratiche coincidenti con l’ascesa di una nuova classe urbana nel contesto del capitalismo mercantile e industriale; mentre le varie diramazioni dei movimenti new age hanno adottato le pratiche capitalistiche contemporanee dei workshop a pagamento, dei corsi di formazione, ecc. (hanno, cioè, iniziato a considerare la categoria dell’esperienza spirituale come una merce di consumo).

La nostra tesi, in questo saggio, è che nell’evoluzione della società contemporanea le reti distribuite, accompagnate da relazioni sociali basate sulla forma del peer-to-peer, stiano diventando un modello predominante, e che questa predominanza influenzerà in maniera fondamentale l’espressione spirituale.

Per organizzare le nostre riflessioni, ci serviremo di una divisione triarchica delle forme organizzative e di una struttura quaternaria per le relazioni umane. I modelli di organizzazione umana possono essere presentati come strutture di rete (network structures) attraverso le quali si delineano le relazioni tra i membri di una comunità. Una tipologia di network comune è quella gerarchica, in cui l’origine delle relazioni e delle azioni è centralizzata. Si può rappresentare graficamente con una forma a stella, ma anche con una struttura a piramide. Una seconda tipologia di rete molto comune è la rete decentralizzata, in cui le azioni e le relazioni degli attori sono vincolate a dei nodi (hub) preesistenti. Nelle reti decentralizzate il potere viene devoluto a diversi gruppi o entità, che dovranno trovare una situazione di equilibrio; gli attori invece sono parte dei vari gruppi decentralizzati, che rappresentano in qualche modo i loro interessi. Infine, abbiamo le reti distribuite, rappresentate, come le reti decentralizzate , dal grafico hub and spoke, ma con una fondamentale differenza. Nelle reti distribuite ci sono sì degli hub, cioè nodi con una maggiore densità di connessione: questi, però, restano volontari. Pensate alla differenza che c’è fra viaggiare in aereo e la libertà, di gran lunga maggiore, che avreste in macchina.  L’aereo arriverà a destinazione passando per un hub aeroportuale – non avrete altra scelta se non rimanere in un luogo preciso e seguire un percorso di volo deciso da qualcun altro. In auto potete scegliere di passare comunque per un grande hub urbano se volete – e molti lo fanno – ma potete anche decidere di aggirarlo. La scelta è vostra.

 


“Le reti distribuite stanno diventando un modello dominante nelle strutture tecnologiche e organizzative umane


 

La nostra prima tesi è che le reti distribuite stanno diventando un modello dominante nelle strutture tecnologiche e organizzative umane. Pensate a Internet, e al web, come reti point-to-point o end-to-end. Pensate alle pratiche emergenti dei micromedia, come wiki e blog, che permettono a molti attori umani di esprimersi bypassando i media di massa decentralizzati di una volta. Pensate ai gruppi di progetto organizzati in team, sempre più utilizzati nella sfera lavorativa. In una rete distribuita, i pari (peers) sono liberi di connettersi e di agire, e le caratteristiche organizzative derivano dalle scelte dei singoli. Il secondo sistema di cui ci serviremo è la tipologia relazionale quaternaria proposta dall’antropologo Alan Page Fiske, profusamente descritta nel suo storico trattato Structures of Social Life.

Secondo Fiske, esistono quattro modi principali in cui gli esseri umani possono relazionarsi fra loro, e questa tipologia può essere applicata, come una sorta di grammatica di fondo, a culture ed epoche diverse. Diverse culture e civiltà sceglieranno combinazioni diverse, può tuttavia presentarsi uno specifico modello dominante.

La «corrispondenza di uguaglianza» (Equality Matching) è la logica dell’economia del dono, forma dominante dell’epoca tribale. Secondo questa logica, chi dona ottiene prestigio, chi riceve, invece, si sente in dovere di ricambiare in qualche modo il favore affinché l’uguaglianza del rapporto possa essere mantenuta. Per permettere la realizzazione di questo processo, le culture tribali hanno sviluppato meccanismi rituali e festivi molto elaborati, organizzati attorno alla nozione di reciprocità e simmetria. La seconda logica relazionale è la «classificazione in base all’autorità » (Authority Ranking), che corrisponde all’altrettanto importante necessità umana di mettersi a confronto. L’assegnazione del rango può basarsi sulla nascita, sulla forza o coercizione, sulla nomina da parte di una gerarchia preesistente, sulle referenze, persino sul merito. La «classificazione in base all’autorità» è la logica principale delle gerarchie imperiali e tributarie (come il sistema feudale) che hanno dominato la società umana prima dell’avvento del capitalismo e della democrazia parlamentare. Il forte protegge il debole e ne garantisce la sicurezza – questo, in cambio, paga un tributo. Queste società erano mosse dall’idea di dover pagare un debito per la propria vita: debito dell’uomo verso l’ordine divino da cui era sostenuto, e della massa verso i rappresentanti di quello stesso ordine, che, per poterne estinguere il debito, richiedevano un tributo. Il principio organizzativo è quello della centralità (rappresentata dalla regalità) e della ridistribuzione delle risorse secondo una gerarchia. Il terzo modello è quello del «prezzo di mercato» (Market Pricing), basato sullo scambio neutro di valori comparabili. È la logica del sistema di mercato capitalista e delle relazioni impersonali su cui si fonda la sua economia.

Infine, c’è la logica della «partecipazione azionaria comunitaria» (Communal Shareholding), che si basa sullo scambio generalizzato o non reciproco. Secondo questo modello relazionale umano, i vari membri contribuiscono collettivamente e volontariamente a una risorsa comune, in cambio del libero utilizzo della stessa. Esempi ne sono i beni agricoli comuni nel Medioevo; la mutualità del movimento operaio e la nozione teorica di comunismo utilizzata da Marx (ma, ovviamente, non la pratica di «classificazione in base all’autorità» applicata dai regimi che abusano di questa nomenclatura). Esiste naturalmente una relazione tra la triarchia organizzativa e la grammatica relazionale quaternaria. L’epoca tribale era fondata su piccole reti parentali distribuite, le cui interazioni erano molto limitate; i regimi imperiali e feudali usavano modelli gerarchici, mentre le società capitalistiche si servono, per lo più, di strutture politiche decentralizzate (l’equilibrio dei poteri della governance democratica) e della concorrenza tra imprese. Al contrario, le strutture sociali contemporanee tendono, in misura sempre maggiore, alle reti distribuite basate su affinità multiple e interconnesse su scala globale.

 

L’emergere del modello Peer-to-Peer

Nella configurazione storica attuale, le infrastrutture tecnologiche si sono spesso presentate sotto forma di reti distribuite, come nel caso dell’internet point-to-point o delle modalità di self-publishing intrinseche al web, che permettono a qualsiasi utente di produrre e diffondere diversi tipi di contenuti. L’umanità dispone quindi di una tecnologia il cui effetto primario consiste nel rendere possibile il coordinamento su scala globale di piccoli gruppi, che possono così collaborare, da ogni parte del mondo, a progetti fondati sull’affinità. Ne sono espressioni ben note la produzione del sistema operativo alternativo Linux e l’enciclopedia universale Wikipedia. E le persone connesse – oltre un miliardo – si dedicano già a decine di migliaia di progetti collettivi del genere, producendo così valore sociale di ogni tipo. L’alter-globalizzazione è espressione di un movimento nato proprio da queste reti, che può organizzarsi e mobilitarsi a livello globale senza avere accesso ai mezzi di comunicazione di massa decentralizzati, sfruttando un’ampia varietà di risorse micromediali.

Nell’ambiente imprenditoriale si può osservare la rilevanza sempre maggiore assunta dall’innovazione sociale diffusa (l’innovazione come sottoprodotto dell’interconnessione di diverse comunità, anziché della R & S imprenditoriale a finanziamento interno). Si può notare inoltre come inizi a manifestarsi una forma di concorrenza asimmetrica tra le società benefit, create da comunità di produttori alla pari, che competono – e non senza successo – con le aziende tradizionali. Aziende che, per di più, si stanno adattando, utilizzando, a loro volta, le pratiche sperimentate da queste comunità. Non è questo il contesto adatto per esaminare nel dettaglio queste tendenze, per cui i lettori interessati sono invitati a consultare l’enciclopedia Wiki di P2PFoundation.Net. Stiamo assistendo a un processo simile a quello che ebbe luogo quando i proprietari di schiavi iniziarono a liberare i loro schiavi dalla servitù della gleba, o i signori feudali più scaltri iniziarono a sostenere mercanti e imprenditori.

 


“Le dinamiche peer-to-peer possono riguardare anche la produzione condivisa di conoscenza spirituale


 

La dinamica relazionale peer-to-peer nel contesto delle reti distribuite sta creando tre processi sociali del tutto nuovi, ciascuno dei quali rappresenta, rispettivamente, un nuovo  modello di produzione, di governance e di proprietà.

La produzione tra pari (peer production) si riferisce alla capacità di produrre in comune (o di condividere l’espressione creativa individuale) come comunità di produttori alla pari.  Teniamo presente che determinazione del prezzo, gerarchia e democrazia sono vari mezzi per l’allocazione di risorse, e che la produzione tra pari, giacché opera nella sfera immateriale della creazione di contenuti, caratterizzata da costi di riproduzione marginali, non ha bisogno né della prezzatura né delle gerarchie per allocare tali risorse. Si tratta quindi di un modo di produzione che non è guidato né dalla pianificazione statale (gli ormai quasi completamente defunti sistemi «socialisti»), né da gerarchie aziendali mosse dal profitto. Può quindi essere propriamente definito definito un terzo modo di produzione.

La peer governance si riferisce alle tecniche impiegate nella risoluzione dei conflitti e nella gestione dei progetti caratterizzati dall’assenza di una gerarchia prestabilita, così come dall’assenza di negoziazioni rappresentative tra i diversi gruppi di investitori. Dal momento che la produzione tra pari si articola in piccoli gruppi, ma può estendersi e coordinarsi su scala globale, può ricorrere principalmente a un processo decisionale diretto dei partecipanti stessi. Poiché non si tratta né di una gerarchia classica né di un processo di negoziazione rappresentativa tra gruppi decentralizzati, può essere definita propriamente una terza modalità di governance.

La proprietà fra pari (peer property) consiste nei modelli legali e istituzionali che i peer projects utilizzano per riprodursi a livello sociale, e per difendersi dall’appropriazione privata (o pubblica). Sfrutta sistemi decisionali collettivi (classifiche, valutazioni, algoritmi, ecc.) che puntano a prevenire la cristallizzazione in un «individuo collettivo» che potrebbe emergere dalla comunità e prenderne il controllo. La peer property ricorre a due modelli principali di proprietà comune per prevenire l’appropriazione privata. Le licenze di condivisione, come la «Creative Commons», permettono agli individui sovrani di determinare il grado di condivisione del loro materiale creativo; mentre le licenze commons, come la «General Public License», prevedono che ogni modifica apportata sia reimmessa nel patrimonio comune.

La circolazione dei beni comuni (commons) è il processo per cui una materia prima «aperta e libera» viene utilizzata come input per un processo partecipativo di produzione e governance da cui risulta un prodotto commons-oriented, che, a sua volta, diventa il materiale liberamente accessibile del ciclo successivo. Ciò che osserviamo, dunque, è la graduale emersione, in quasi ogni dimensione sociale, di tre potenti movimenti, rappresentativi degli interessi degli altrettanto emergenti peer producers. Questi movimenti sono incentranti sulla richiesta e promozione di tre principi: 1) movimenti aperti e liberi («Free Software Movement», «Open Yoga», «Open Reiki»); 2) movimenti partecipativi (circoli di pari a orientamento spirituale) e 3) movimenti commons-oriented.

Le dinamiche peer-to-peer non si limitano alla produzione di valore economico, ma possono realizzarsi in ogni ambito della vita umana, inclusa la produzione condivisa di conoscenza spirituale.

Prima di dedicarci a quest’ultima, dovremo rivedere le caratteristiche generali di questa nuova modalità organizzativa, che capovolge quasi tutte le premesse della nostra civiltà industriale. Dopodiché saremo in grado di applicarle alla ricerca dell’esperienza o della conoscenza spirituale, e di osservare come influiscano sulla sua stessa organizzazione.

 

Caratteristiche della produzione fra pari nella vita sociale ed economica

 

Se si esamina più nel dettaglio il funzionamento dei progetti di produzione tra pari, si possono notare molte inversioni di tendenza non solo rispetto alle modalità operative tradizionali delle aziende o delle istituzioni pubbliche, ma anche rispetto alle ONG promosse della società civile. Il concetto di equipotenzialià, già definito da Jorge Ferrer, è alla radice delle modalità di funzionamento dei peer projects. Il termine definisce una situazione in cui gli esseri umani non sono classificati secondo un unico criterio o come una totalità – vengono considerati invece come il risultato di una pluralità di competenze e capacità, nessuna delle quali è di per sé migliore di un’altra. Nel contesto di un progetto tra pari, i potenziali partecipanti sono considerati un insieme troppo complesso di competenze ed esperienze perché si possa stabilire a priori chi può svolgere un determinato compito. La soluzione consiste nel suddividere qualsiasi attività in una serie quanto più ampia possibile di moduli, svolgibili separatamente ma sempre coordinati in un unico progetto. I partecipanti possono quindi selezionare autonomamente i propri compiti, senza alcuna verifica a priori delle loro credenziali (prassi che si definisce anti-credenzialismo), realizzando così questa modalità di produzione distribuita che si differenzia nettamente dalla tradizionale divisione del lavoro. Ma visto che non esiste più un meccanismo di selezione a priori, come è possibile garantire la qualità del lavoro ed effettuare una selezione in base al rendimento? La risposta consiste nell’abbinare a questa produzione distribuita una forma di controllo distribuito. Questo concetto può essere chiamato validazione comunitaria ed è ben diverso dal processo di peer review, ancora credenzialista, dell’editoria scientifica, per esempio. I progetti tra pari sono inoltre caratterizzati dall’oloptismo – cioè dalla totale trasparenza del progetto, in contrasto con il panoptismo dei progetti gerarchici, e cioè la disponibilità di informazioni solo per coloro che si ritiene debbano conoscerle, che risulta in una visione complessiva del progetto solo da parte dei vertici della gerarchia. Al contrario, i peer hanno accesso sia in senso verticale (gli obiettivi, la vision) sia in senso orizzontale (chi fa, e ha fatto, cosa), dal loro specifico punto di vista. Ogni riga di codice modificata in Linux, ogni parola cambiata su Wikipedia, è sottoponibile a revisione e collegata a un autore riconosciuto. Si tratta di un numero impressionante di inversioni di tendenza rispetto al modo tradizionale di organizzazione del lavoro e di realizzazione degli obiettivi – ciò non di meno il sistema si dimostra più produttivo in termini di prestazioni, più partecipativo in termini di governance e più distributivo in termini di proprietà, rispetto ai suoi rivali. Ecco quindi che equipotenzialità, anti-credenzialismo, autoselezione, convalida comunitaria e oloptismo sono alcune delle caratteristiche chiave della modalità di produzione peer-to-peer del bene comune.

A differenza del modello produttivo industriale, che applica modalità organizzative di tipo sostanzialmente feudale-gerarchico, ed è adatto per lo più alla sola produzione di valore economico, e a differenza del modello democratico di governance, applicabile al solo ambito politico, qui abbiamo un modello di produzione e di governance che può essere applicato a qualsiasi ambito di attività umana, il che costituisce un avanzamento radicale in termini di partecipazione. Ora, è possibile avere comunità autogovernate, e non solo nei progetti economici e politici, ma anche, per esempio, nella costruzione di una conoscenza spirituale collettiva.

L’approfondimento di questo tema è oggetto della seconda parte di questo saggio.

 

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Seconda parte: la nuova spiritualità partecipativa, o, la peer production di conoscenza spirituale

 

Nuove costellazioni di valori

 

Prima di approfondire più nel concreto il modo in cui le caratteristiche della produzione peer-to-peer si applicano al campo spirituale, è necessario sottolineare che una nuova spiritualità peer-to-peer non sarebbe semplicemente il risultato di un qualche nuovo modo oggettivo di fare le cose (una nuova escrescenza spirituale di una nuova base materiale). Sarebbe, invece, il risultato di profondi mutamenti nella coscienza umana. Alcune di queste trasformazioni hanno già avuto luogo, altre sono ancora in fase di realizzazione, ma tutte coinvolgono un’enorme varietà di persone. Alcuni di questi cambiamenti si sono verificati prima dell’emersione della nuova logica peer-to-peer, altri come risultato della sua comparsa, altri ancora come risultato dell’uso continuo degli strumenti P2P, che, modificano inevitabilmente la forma della coscienza umana, come qualsiasi altro strumento. Vorremmo quindi sostenere che, in termini generali, il peer-to-peer è il risultato di profondi cambiamenti nell’ontologia (modi di essere), nell’epistemologia (modi di conoscere) e nell’assiologia (costellazioni di valori).

In termini ontologici, assistiamo a un profondo mutamento nella concezione dell’umano – mutamento per il quale una lunga serie di pensatori contemporanei ha posto le basi. In poche parole, nonostante l’attuale dominio neoliberale della politica e dell’economia, la vecchia idea alla base della società di mercato capitalista e dell’ordine democratico liberale è stata profondamente messa in discussione. Questa concezione, secondo cui siamo individui isolati, che agiscono per il solo interesse personale e per la cui socializzazione si rende necessario l’intervento delle istituzioni, viene via via sostituita da prospettive che sottolineano la fondamentale connessione dell’essere umano. Siamo già da sempre connessi con i nostri pari, ed è così che mediamo le nostre relazioni con le istituzioni. Non si tratta più di istituzioni e aziende che regolamentano  e/o amministrano masse di individui isolati. Si tratta, in parte, di un mutamento nella coscienza, e, naturalmente, anche dell’effetto di una tecnologia della comunicazione che ha il potere di connetterci. Il trust barometer – sondaggio annuale sulla fiducia e la credibilità – della società di comunicazione Edelman, conferma un drastico cambiamento di rotta: dalla fiducia nelle istituzioni, alla fiducia nelle «persone proprio come noi», cioè nei nostri pari. Questa nuova concezione della connettività non sfocia in un altruismo generalizzato, ma nell’idea secondo cui i sistemi sociali devono essere progettati in modo che gli interessi personali possano convergere con quelli collettivi. Questi principi sono, a loro volta, incorporati nella nuova generazione di software e reti sociali. Sembra che l’individualismo cooperativo possa essere una descrizione appropriata a questa nuova mentalità, molto più diffusa nella nuova generazione di giovani adulti, i cosiddetti nativi digitali o generazione Millenial (chi, cioè, ha compiuto vent’anni nel 2000 e seguenti, ed è cresciuto con Internet e il gaming  collettivo e considera la condivisione come la norma, come riporta il recente libro in lingua olandese Generatie Einstein).

 


“Siamo già da sempre connessi con i nostri pari, ed è così che mediamo le nostre relazioni con le istituzioni


 

In termini epistemologici, la nozione di un universo materiale oggettivo che possa essere conosciuto a partire da una singola prospettiva oggettiva è stata sistematicamente messa in discussione dai filosofi postmoderni (se non ancora prima, con Marx che metteva in luce le deformazioni che si riverberano nell’inconscio sociale e Freud che, scoprendo l’inconscio personale, dimostrava come non fossimo padroni di casa nostra). Secondo la tesi di questi filosofi, non esiste un’unica prospettiva assoluta, ma un sistema di elementi che possono essere definiti esclusivamente in relazione gli uni agli altri. L’archivio gerarchico, che implica l’esistenza di un unico modo di conoscere il mondo (l’albero gerarchico della conoscenza), ha lasciato il posto ai database decentralizzati, interrogabili a partire da diverse «sfaccettature», fino alle folksonomie e ai sistemi di tagging, oggi pienamente distribuiti. In questi nuovi sistemi distribuiti di conoscenza, ogni individuo inquadra il mondo nella sua prospettiva, ma può accedere anche alla prospettiva con cui sono inquadrati gli stessi, o altri, oggetti di conoscenza e non, da altri individui nei loro sistemi di tagging. Ricercatori e studiosi indipendenti ora possono esplorare i reciproci pensieri e sistemi. Da ciò deriva che non esiste un unico modo di interpretare la realtà, ma un numero infinito di visioni del mondo individuali. La verità diventa quindi una questione di integrazione, incontro e scambio con gli altri e le loro visioni del mondo, e porta così a osservare il mondo e i suoi soggetti e oggetti da un gran numero di punti di vista, ognuno dei quali proietta in modo diverso la propria luce sulla realtà. Le tensioni e i paradossi che si presentano possono essere affrontati con il dialogo. Naturalmente alcuni tipi di conoscenza, come le scienze fisiche, utilizzano ancora metodologie tradizionali, ma le scienze umane e sociali sono inevitabilmente influenzate da queste nuove tendenze, che regolano il modo in cui molti individui oggi danno un senso al loro mondo.

Per quanto riguarda l’assiologia, o i nuovi sistemi di valori, ho già descritto la nuova, emergente, forma dell’individualismo cooperativo – in ogni caso, lo stesso mondo della produzione e della governance tra pari genera nuove forme di movimenti sociali, che aderiscono a tre paradigmi diversi ma interconnessi, che costituiscono anche sistemi di valori. Il paradigma open and free, che esemplifica il desiderio di una conoscenza umana liberamente condivisibile e modificabile; il paradigma partecipativo, che richiede la massima espansione possibile del numero di persone coinvolte, che contribuiranno ciascuna secondo le proprie capacità; e il paradigma commons-oriented, che mira a una produzione orientata direttamente al valore d’uso (e non al valore di scambio) i cui risultati devono essere condivisi da tutti. Sarebbe difficile dire con esattezza quante persone condividano l’intera gamma di questi nuovi valori, tuttavia il loro numero è senza dubbio in crescita, così come sta crescendo esponenzialmente il numero di movimenti e iniziative ascrivibili a questo modello. Si noti come questi nuovi valori e movimenti corrispondano al ciclo di riproduzione del nuovo sistema sociale di produzione, governance e proprietà tra pari. Nello specifico, non è possibile alcuna produzione fra pari senza una certa disponibilità di materia prima liberamente accessibile con cui lavorare (lato input); questa materia prima viene poi utilizzata in modo partecipativo (lato processo); il risultato del lavoro comune viene in seguito tutelato per mezzo di istituzioni e forme giuridiche commons-oriented (lato output). Il lato output crea infine nuovo materiale liberamente accessibile che può essere utilizzato per ripetere il ciclo.

 

Caratteristiche generali di una spiritualità partecipativa

 

Che cosa significa tutto questo in relazione alla comparsa di nuove forme di spiritualità, sia in termini di esperienze personali sia in termini di nuove forme sociali di organizzazione della vita spirituale?

Il significato per l’evoluzione della coscienza umana è qui espresso molto bene:

Ci sono prove schiaccianti che l’evoluzione della coscienza stia facendo enormi passi in avanti, partendo dalla vita collettiva, in cui l’individuo era completamente inglobato nei modelli di vita della collettività, attraverso un processo graduale, spesso doloroso, di individuazione, che enfatizza la volontà e la sovranità dell’individuo; fino ad arrivare al processo oggi in atto: un ritorno consapevole al collettivismo, in cui gli individui individuati o auto-realizzati, condividono volontariamente – e temporaneamente – la propria coscienza alla ricerca di quell’inafferrabile intelligenza collettiva che possa  aiutarci a superare le stupende sfide che attendono la nostra specie, come risultato dei modi in cui la nostra traiettoria di sviluppo si è manifestata finora sul piano fisico […] L’evoluzione umana ha quindi a che fare con il risveglio della coscienza umana, prima verso se stessa, poi verso la propria evoluzione, e infine verso il riconoscimento e l’esperienza incarnata dei modi in cui costituiamo parte organica parte di un tutto più grande. Ora che stiamo entrando in questa nuova fase del risveglio individuale/collettivo, sempre più persone sono chiamate a dedicarsi a questo nuovo modello di vita, fatto di gruppi di individui individuati che fondono la loro intelligenza collettiva in un’unica entità.

Passiamo rapidamente in rassegna i cambiamenti derivanti dal mutamento del posizionamento ontologico, epistemologico e assiologico, per poi rivedere i principi della produzione tra pari  descritti in precedenza e osservare in che modo possano essere applicati alla produzione di conoscenza spirituale.

Se accettiamo le nuove convinzioni ontologiche ed epistemologiche, secondo cui non esistono punti di riferimento o sistemi valoriali assoluti – nessuna realtà esterna oggettiva e auto-sussistente – possiamo ancora ammettere sistemi cosmologici e religiosi invariabili? Se accettiamo che la conoscenza è una questione di co-creazione con altri esseri umani, che possiedono quadri di riferimento diversi, e che l’approccio alla verità risiede nel confronto fra le differenze di queste prospettive e fra i diversi modi in cui illuminano le loro realtà, possiamo ancora accettare di seguire metodologie e percorsi fissi, che portano a conclusioni inevitabili sulla verità? O dovremmo forse aspettarci che una verità co-creata non sia mai definitiva? Se vogliamo vivere e agire seguendo il principio paritario secondo cui tutte le persone hanno uguale valore, possiamo accettare quella radicata forma di classismo che costituisce parte integrante degli approcci tradizionali alla religione? Le domande ci suggeriscono la risposta, e la risposta è che, con ogni probabilità, le forme di spiritualità a cui aspiriamo condivideranno le stesse caratteristiche di libera accessibilità, partecipazione e attenzione alla collettività che le forme emergenti di coscienza P2P desiderano vedere nel mondo.

Un approccio libero e aperto alla spiritualità non accetterebbe concezioni proprietarie della conoscenza spirituale. Vorrebbe invece che codici e testi fossero liberamente accessibili, e persino modificabili. Non accetterebbe testi spirituali coperti da copyright, né testi non disponibili. Le strade che conducono all’esperienza spirituale non sarebbero nascoste, ma a disposizione di chiunque. Le metodologie potrebbero essere liberamente messe alla prova e sperimentate.

Un approccio partecipativo significherebbe libera partecipazione alla ricerca spirituale, senza alcuna selezione a priori, estesa a chiunque – perciò le limitazioni a tale partecipazione sarebbero il minor numero possibile. Sarebbero inoltre disponibili metodologie adatte ai diversi livelli di esperienza.

Un approccio orientato alla collettività renderebbe la conoscenza co-creata disponibile in un pool comune, a cui tutti possano fare riferimento e con cui tutti possano confrontarsi.

Ora, passiamo rapidamente in  rassegna il modo in cui i principi concreti della produzione tra pari, delineati in precedenza, si potrebbero applicare alla produzione di conoscenza spirituale. Ricordiamo che abbiamo elencato i seguenti principi: equipotenzialità, autoselezione, validazione comunitaria e oloptismo.

L’equipotenzialità suggerisce che non dovremmo giudicare una persona in base a una sua unica, supposta, essenza, per esempio come maestro spirituale o essere illuminato, ma come un intreccio multiforme di diverse competenze e abilità, nessuna delle quali, da sola, la eleverebbe a una condizione umana superiore. La vera abilità di un qualsiasi sistema sociale consisterebbe, piuttosto, nel tirare fuori il meglio da ogni singolo individuo, di modo che possa poi impegnare le  sue capacità e la sua passione in un compito di sua scelta. Una delle possibili interpretazioni di questo principio è che l’illuminazione o la padronanza spirituale sono solo una specifica abilità, una specifica tecnica di coscienza. Una tecnica importante, che merita rispetto, da cui gli altri possono imparare. Tuttavia, proprio come un grande sportivo o un grande artista non sono necessariamente esseri umani migliori, neanche un maestro spirituale lo è, come la storia degli ultimi decenni ha ampiamente dimostrato. Per di più, la guida di un tale maestro deve essere qualcosa di concreto, un invito alla pratica e all’esperienza, di cui lui stesso può testimoniare, e non una forma di autorità incontestabile sulla vita dei suoi seguaci. Gli individui sono liberi di esplorare questo percorso, resta comunque responsabilità dell’individuo e delle comunità realizzare una libertà spirituale collettiva, senza alcun percorso prestabilito. Il corollario dell’autoselezione e della convalida comunitaria è altrettanto chiaro. Non può essere imposto nessun percorso spirituale: l’individuo sceglie liberamente quali specifici percorsi seguire o sperimentare. Inoltre, gli individui o le comunità non sono vincolati a una particolare tradizione, benché possano comunque decidere di servirsi di uno specifico sistema di questo genere. In un contesto globalizzato, consapevoli dei vari framework a nostra disposizione, la ricerca della verità spirituale può includere le caratteristiche di una spiritualità contributiva, in cui l’individuo, informato sulle specifiche prospettive, può scegliere tra un’ampia varietà di psico-tecnologie e cercare la specifica combinazione di pratiche e intuizioni più adatta alle sue esigenze e capacità. Come ha già sostenuto Jorge Ferrer, non solo non esiste un unico percorso, non esistono neanche più percorsi per raggiungere un simile obiettivo o risultato – l’obiettivo stesso è il frutto della co-creazione di chi è coinvolto nella ricerca e delle sue comunità. Sembra che sia proprio questo il modo in cui gli individui si sono avvicinati alla ricerca negli ultimi decenni, e, in particolare, gli individui che il sociologo Paul Ray definisce «creativi culturali». Sembra, in effetti, che, in assenza di coercizione, questo sia il modo più naturale in cui le persone scelgono di approcciarsi alla vita spirituale. Il principio della convalida comunitaria suggerisce che le persone potrebbero riunirsi in gruppi, o circoli, di pari, per decidere in comune alcuni percorsi esplorativi e condividere le proprie esperienze. L’oloptismo, infine, suggerisce una nuova apertura dei diversi sistemi, in termini di contenuti e pratiche, così come dei loro obiettivi, e suggerisce un nuovo significato del termine «esoterico»: non definirà più qualcosa di segreto o inaccessibile, ma le diverse capacità equipotenziali di raggiungere determinati livelli di esperienza e abilità. Anche in questo caso, non sembra qualcosa di inverosimile, dato che molto materiale esoterico è ora disponibile sia in formato cartaceo che online.

 

Sviluppi teorici: gli approcci alla spiritualità partecipativa e relazionale di Jorge Ferrer e John Heron

 

John Heron sostiene con forza un approccio relazionale alla spiritualità, di cui definisce otto caratteristiche:

la spiritualità delle persone si sviluppa e si rivela principalmente nelle loro relazioni con gli altri. Se si considera la spiritualità principalmente come il frutto di pratiche individuali, per esempio come il risultato della meditazione, allora si può avere la plateale anomalia di una persona «spirituale» oppressiva a livello interpersonale, così come la possibilità di tradizioni «spirituali» inclini all’oppressione. Se consideriamo invece la spiritualità come qualcosa di incentrato sulla liberazione delle relazioni tra le persone, allora si dischiude una nuova era di religione partecipativa, che richiede una radicale ristrutturazione e rivalutazione dei percorsi spirituali tradizionali. Esistono senza dubbio diverse importanti modalità di sviluppo individualistico che non implicano necessariamente un impegno diretto con altre persone, come il conseguimento della competenza contemplativa e di una buona forma fisica. Ma queste sono secondarie, e di supporto a quelle che dipendono, e sono a loro volta potenziate, dalla indagine condivisa con gli altri.
In quest’ottica, la spiritualità risiede nel cuore interpersonale della condizione umana, in cui le persone cooperano per indagare significati, costruire relazioni e manifestare la propria creatività, attraverso un’azione di ricerca (action inquiry) collaborativa nell’ambito dell’integrazione e della realizzazione  multimodale.

Fra le varie caratteristiche della spiritualità relazionale, Heron sottolinea quanto questa sia in effetti legata alle forme peer-to-peer sopra citate:

(5) È incentrata su scopi pratici virtuosi, che promuovono una fiorente unione umanità-ecosistema; è, cioè, radicata in una più ampia dottrina dei diritti che si estende alla liberazione sociale ed ecologica.
(6) Abbraccia processi decisionali partecipativi e peer-to-peer. Quest’ultima disciplina, in particolare, può essere vista come il fulcro della spiritualità relazionale, che elide gran parte dell’ego privatizzato. Il processo decisionale partecipativo comporta l’integrazione dell’autonomia (decidere per se stessi), della cooperazione (decidere con gli altri) e della gerarchia (decidere per gli altri). È il fondamento della spiritualità relazionale, su cui tornerò alla fine dell’articolo.
(7) Rende il giusto riconoscimento all’emersione e allo sviluppo graduali di forme di associazione e pratica peer-to-peer, in qualsiasi ambito della vita: industria, produzione del sapere, religione e molti altri.
(8) Afferma il ruolo tanto della gerarchia iniziatica quanto della gerarchia che emerge e si alterna spontaneamente fra i pari nel corso della sua stessa emersione.

Heron non nega gli aspetti individuali della spiritualità, ma sottolinea come siano secondari rispetto alla loro forma di espressione primaria, cioè quella relazionale.

L’ottava caratteristica sopra elencata merita di essere sviluppata, in quanto definisce in modo più preciso il rapporto tra autonomia, gerarchia e cooperazione:

Lo spirito vitale si manifesta come un’interazione dinamica tra autonomia, gerarchia e cooperazione. Emerge per mezzo di persone autonome, ognuna delle quali è in grado di identificare quali siano i propri, veri, bisogni e interessi personali. Ciascuna di loro è anche in grado di pensare gerarchicamente, in relazione a quali siano i valori che promuovono gli effettivi bisogni e interessi dell’intera comunità. Ognuna è anche in grado di cooperare – cioè di ascoltare, impegnarsi e negoziare decisioni concordate – con i propri pari, celebrando la diversità e la differenza come parte integrante di un’autentica unità. Qui la gerarchia è una leadership creativa che cerca di promuovere i valori dell’autonomia e della cooperazione in un’associazione peer-to-peer. Tale leadership, come nel movimento del software libero citato in precedenza, viene esercitata in due modi. In primo luogo, da una o più persone che prendono l’iniziativa di creare un’associazione di questo tipo. E in secondo luogo, una volta che l’associazione è operativa, come leadership spontanea e a rotazione tra i pari, durante la quale chiunque prende iniziative che migliorano ulteriormente l’autonomia e la cooperazione degli altri membri.

Il libro di Jorge Ferrer, Una re-visione della psicologia transpersonale,  è un testo fondamentale, in cui viene riformulata una concezione partecipativa della spiritualità a partire dalla tradizione della psicologia transpersonale. La prima parte decostruisce i pregiudizi non relazionali della psicologia transpersonale, mentre la seconda tenta di ricostruire una nuova prospettiva fondata sulla partecipazione. Tuttavia, in questo libro, gli aspetti relazionali della spiritualità partecipativa non sono stati messi in rilievo. L’importanza del lavoro spirituale relazionale è invece sottolineata nei suoi scritti successivi, che trattano questioni più pratiche e meno filosofiche rispetto alla revisione della teoria transpersonale.  Nei suoi discorsi e nelle sue conferenze, Ferrer ha introdotto la nozione di spiritualità partecipativa nei termini di tre forme di co-creazione: (1) co-creazione intrapersonale, ossia di varie dimensioni della esperienza  umana che collaborano, in modo creativo, come una squadra; (2) la co-creazione interpersonale, cioè di esseri umani che lavorano insieme come pari legati da solidarietà e rispetto reciproco; e (3) la co-creazione transpersonale, ossia l’insieme delle  dimensioni dell’esperienza intrapersonale e della collaborazione fra individui, che si relazionano con il Mistero nella co-creazione di intuizioni e mondi spirituali, pratiche, e forme di liberazione di vasta portata.

Si noti ancora una volta la corrispondenza tra i punti di Heron e il secondo aspetto della co-creazione di Ferrer. J. Kripal ha già notato le importanti implicazioni politiche delle influenti idee di Ferrer:

La concezione partecipativa di Ferrer, e il suo passaggio dall’«esperienza» soggettiva all’«evento» processuale ha delle implicazioni politiche piuttosto radicali. In quest’ottica, una monarchia gerarchica perennialista (la «regola dell’Uno» attraverso la «grande catena dell’Essere») che situa l’intera verità del reale nel passato feudale (o, quantomeno, in qualche cultura gerarchica attuale) è stata sostituita da una democrazia partecipativa piuttosto radicale, in cui il Reale si rivela non nel Grande Uomo, nel Santo Perfetto o nel Dio-Re (o nello Studioso Perennialista), ma nella relazione radicale e nel presente sacro. Di conseguenza, la vita religiosa non consiste nel ritorno a un’età dell’oro delle scritture o a un assoluto metafisico; riguarda invece la co-creazione di nuove rivelazioni nel presente, sempre, ovviamente, in interazione critica con il passato. Una tale pratica è dinamica, incerta e ciò non di meno fonte di speranza: una guarigione teurgica del mondo e di Dio simile al tikkun.

Vorrei ora citare ampiamente una critica di Ferrer fatta da J. Kripal sulla rivista «Tikkun», poiché, nonostante utilizzi concetti diversi, conferma il principio di equipotenzialità che abbiamo spiegato in precedenza. Secondo questo principio le competenze mistiche sono solo una serie di competenze tra le altre, che non garantiscono a una persona una superiorità assoluta rispetto a un’altra; le competenze spirituali, inoltre, non sono equivalenti ad altre competenze, come, per esempio, quelle etiche.

Ascoltiamo J. Kripal sull’argomento:

Ferrer […] alla fine adotta una valutazione molto positiva dello status etico delle tradizioni, suggerendo, in effetti, che le religioni hanno avuto più successo nel trovare un terreno morale comune più che un accordo dottrinale o metafisico, e che la maggior parte delle tradizioni richiede (anche se non ha mai attuato fedelmente o pienamente) una trascendenza dell’egocentrismo o narcisismo dualistico. Ed è qui che mi insospettisco. Benché – ed è cosa rara e gradita – Ferrer  non si serva di questa specifica logica (in realtà si tratta più di una retorica), nella letteratura transpersonale è abbastanza facile e abbastanza comune sostenere la natura essenzialmente morale dell’esperienza mistica, facendo però molta attenzione a chi si attribuisce il titolo (abbastanza moderno) di «mistico». Si tratta, ovviamente, di un’argomentazione del tutto circolare: ci si limita a dichiarare  (perché lo si crede) che il misticismo è morale, poi si elencano, tra decine di migliaia (milioni?) di possibili casi registrati, alcuni, forse qualche decina, di esemplari che si adattano ai propri standard morali (o meglio, la cui descrizione storica è abbastanza sommaria da nascondere qualsiasi prova che non si confarebbe a tali standard) e, voilà, si è «dimostrato» che il misticismo è effettivamente morale. Qualsiasi figura carismatica o santo che violi le queste norme – e qui ci sarà sempre una folla molto numerosa che grida a gran voce – viene semplicemente etichettato come «non veramente mistico» o convenientemente ignorato. In altre parole, è la costruzione stessa della categoria di «mistica» che costruisce a sua volta una «mistica morale», non l’evidenza storica, che è sempre e ovunque di gran lunga più ambivalente. Ferrer, come è evidente in momenti come il suo esperimento di pensiero con il ritiro Theravada, è ben consapevole di gran parte del problema. Sa perfettamente che il perennialismo non corrisponde ai dati storici. Quello che forse non vede con altrettanta chiarezza è che un perennialismo morale si insinua dalla porta di servizio delle sue stesse conclusioni. Così, mentre rifiuta giustamente ogni discorso su un «nucleo comune», può tuttavia parlare di un comune «oceano di emancipazione» a cui tutte le tradizioni contemplative si avvicinano dalle loro diverse sponde ontologiche.

 

Kripal ne conclude:

Ferrer sostiene che dobbiamo renderci conto che il nostro obiettivo non può mai essere semplicemente il recupero o la riproduzione di un qualche passato senso del sacro, poiché «non possiamo ignorare che la maggior parte delle tradizioni religiose sono ancora afflitte non solo da intolleranti tendenze esclusiviste e assolutiste, ma anche da patriarcato, autoritarismo, dogmatismo, conservatorismo, trascendentalismo, negazione del corpo, repressione sessuale e istituzioni gerarchiche». In parole povere, le tradizioni contemplative del passato hanno troppo spesso funzionato come tecniche, elaborate e sacralizzate, per dissociare la coscienza.

Ancora una volta, credo che sia esattamente questa la posizione in cui dobbiamo trovarci: privilegiare l’etica rispetto alla mistica e insistere sulla totalità umana come santità umana. Vorrei solo radicalizzare ulteriormente la posizione di Ferrer, evidenziandone il carattere ermeneutico, ossia il fatto che operi come rivisitazione e riforma creativa del passato, piuttosto che come una semplice riproduzione, o fantasia fondamentalista, di un’inesistente età dell’oro. In altre parole, a mio avviso non esiste un Oceano di Emancipazione condiviso nella storia delle religioni. In effetti, secondo molte delle nostre prospettive moderne, le acque del passato sono a malapena potabili, poiché ciò che la maggior parte delle tradizioni contemplative ha inteso per «emancipazione» o «salvezza» non è affatto ciò che vorremmo intendere con questi termini oggi. Dopo tutto, è tremendamente semplice emanciparsi dal «mondo», o diventare tutt’uno con una divinità o un assoluto ontologico, e lasciare comodamente al loro posto tutte le strutture e le pratiche sociali estremamente ingiuste del mondo (razzismo, discriminazioni di genere, omofobia, bigottismo religioso, colonialismo, caste, disparità sociale, degrado ambientale, ecc.).

A questa importante critica di Kripal, vorrei aggiungere una conclusione rilevante, ossia che il passaggio alla spiritualità relazionale e partecipativa ha necessariamente anche un momento «negativo», cioè una fase di critica contro ogni forma di autoritarismo spirituale.
L’evoluzione «teorica» verso forme di spiritualità relazionali e partecipative non si è fermata. Bruce Alderman, per esempio, in un saggio riassuntivo su Internet, descrive la nuova tendenza a esplorare l’intersoggettività stessa, attraverso forme di indagine sia personale sia interpersonale. Analizza inoltre il lavoro di Christian De Quincey, attraverso i suoi due libri (Radical Nature e Radical Knowing), il profondo lavoro mistico intersoggettivo di Beatrice Bruteau e la radicalità delle indagini dell’approccio TSK di Tartangh Tulku.

 

La scoperta del Noi: il primato della relazionalità e del Campo Collettivo

 

In questa sezione vogliamo articolare la relazione che lega gli sviluppi della teoria e della pratica spirituale, discussi poco sopra, e il cambiamento più generale delle concezioni filosofiche e sociologiche dell’uomo come essere intersoggettivo, per poi esaminare alcuni sviluppi più specificamente orientati alla pratica intersoggettiva.

L’articolazione moderna dell’individualità, fondata su un io autonomo calato in una società che lui stesso crea attraverso il contratto sociale, è cambiata nella postmodernità. Secondo Simondon, filosofo francese della tecnologia, che ebbe un grande seguito postumo nel mondo francofono, era tipico della modernità «estrarre la dimensione individuale» di ogni aspetto della realtà – anche di cose/processi che sono già da sempre in relazione. Ciò che serve per rinnovare il pensiero – sostiene Simondon – non è un ritorno all’olismo premoderno, ma un’elaborazione sistematica della proposizione «tutto è in relazione», senza abbandonare, al contempo, le conquiste del pensiero moderno, cioè l’altrettanto importante centralità dell’individualità. Si inizia, dunque, a considerare l’individualità come costituita da relazioni, a partire da relazioni.

Questa tesi, che vede l’individuo come già da sempre parte di diversi campi sociali, come un essere singolare e composito che non necessita più di socializzazione ma piuttosto di individuazione, sembra essere una delle principali conquiste di quello che potremmo definire «pensiero postmoderno». L’individualismo atomistico viene rifiutato a favore della nozione di un sé relazionale, di un nuovo equilibrio fra la agency individuale e la comunione collettiva.

A mio avviso, come necessario complemento e avanzamento del pensiero postmoderno, è necessario fare un passo in più: non limitarsi a riconoscere l’importanza dell’individualità e del suo fondamento relazionale, ma estendere tale riconoscimento anche alla dimensione collettiva, cioè il campo in cui hanno luogo le relazioni.

Se osserviamo solo le relazioni, perdiamo di vista l’insieme, cioè la società (e i suoi sotto-campi). La società è qualcosa di più della semplice somma delle sue «parti relazionali». La società istituisce un «protocollo» che permette a queste relazioni di svolgersi; forma gli attori nella loro soggettività e consiste di norme che rendono possibili o non rendono possibili certi tipi di relazioni. Abbiamo dunque attori, relazioni e campi. Se vogliamo integrare l’elemento soggettivo dell’intenzionalità umana, è necessario, infine, introdurre un quarto elemento: l’oggetto della socialità.

In effetti gli attori umani non si «relazionano» mai in astratto – si relazionano sempre intorno a un oggetto, in modo concreto. Gli insetti, nel loro sciamare, sembra che non abbiano un oggetto del genere: si limitano a seguire istruzioni e segnali, senza una visione d’insieme, ma i mammiferi sì. Per esempio, i branchi di lupi si riuniscono intorno all’oggetto della preda. È l’oggetto che dà energia alle relazioni, che stimola l’azione. Gli esseri umani possono avere oggetti più astratti, situati temporalmente nel futuro, come gli oggetti di desiderio. Ci rappresentiamo mentalmente l’oggetto e ci attiviamo per realizzarlo individualmente o collettivamente. I progetti P2P si organizzano attorno a questo genere di programma comune, e la mia teoria del peer-to-peer è un tentativo di realizzare un oggetto che possa ispirare un cambiamento sociale e politico.

In sintesi, per una visione globale del collettivo, è ormai consuetudine distinguere 1) la totalità delle relazioni; 2) il campo di azione di queste relazioni, fino ad arrivare al macro-campo della società stessa, che stabilisce il «protocollo» di ciò che è – e di ciò che non è – possibile; 3) l’oggetto della relazione («socialità orientata all’oggetto»), cioè l’ideale preformato che ispira l’azione comune.

In conclusione, questa svolta verso il collettivo, rappresenta dall’emersione del peer-to-peer, non rappresenta in alcun modo una perdita dell’individualità, e nemmeno dell’individualismo. Piuttosto, «trascende e include» individualismo e collettivismo in una nuova unità, che vorrei chiamare «individualismo cooperativo». La cooperatività non è necessariamente intenzionale (cioè il risultato di un altruismo deliberato), ma è costitutiva del nostro essere, e le migliori applicazioni del P2P sono fondate su questa idea. In maniera simile alla teoria della mano invisibile di Adam Smith, i sistemi collaborativi meglio progettati sfruttano l’interesse personale degli utenti, trasformandolo in un beneficio per la collettività.

Riconoscere questa dinamica sarebbe di grande aiuto nel distinguere le concezioni trasformative del P2P dalle interpretazioni regressive che si rifanno alla comunione premoderna. Trovo che questa distinzione sia ben espressa da Charlene Spretnak, citata da John Heron in un confronto con la nozione di Ted Lumley di Goodshare.org di «sé inclusivo»: «Il senso ecologico/cosmologico dell’unicità unito all’intersoggettività e all’inter-essere […] L’unico modo in cui si può parlare accuratamente di “autonomia” di un individuo è integrarvi un senso della rete dinamica di relazioni costitutive per quell’essere in un dato momento».

 


“L’individuo non agisce nello spazio morto degli oggetti, ma in una rete di flussi


 

In ogni caso, l’equilibrio si sposta, ancora una volta, verso il collettivo. Ma se le nuove forme del collettivo riconoscono l’individualità e persino l’individualismo, ciò non significa che la loro natura sia individualista: non si tratta cioè di individui collettivi, il nuovo collettivo si esprime invece nella creazione di ciò che è comune. Il collettivo non è più la comunità locale «olistica» e «oppressiva», e non è più la società fondata contrattualmente con le sue istituzioni – oggi a sua volta considerata oppressiva. La nuova collettività non è una forma unificata e trascendente di individuo collettivo, ma l’insieme di un gran numero di progetti singolari, che costituiscono una moltitudine. Questo grande mutamento dell’ontologia e dell’epistemologia, dei modi di sentire e di essere e dei modi di conoscere e di comprendere il mondo, è stato preannunciato da studiosi di scienze sociali e filosofi, ma anche dalle scienze dure come la fisica e la biologia. Un cambiamento importante è stato il rovesciamento della divisione cartesiana soggetto-oggetto. Il «sé individuale» non guarda più il mondo come un oggetto. Dal momento che la postmodernità ha stabilito che l’individuo è composto e attraversato da diversi campi sociali (del potere, dell’inconscio, delle relazioni di classe, di genere, ecc.), e dal momento che ne ha preso coscienza, il soggetto è ora visto (dopo l’annuncio della sua morte come «essenza» e costruzione storica da parte di Foucault), come un perpetuo processo di divenire («soggettivazione»). Il suo sapere è ora soggettivo-oggettivo e la costruzione della verità, da oggettiva e mono-prospettica, è stata resa multi-prospettica. Questo individuo non agisce nello spazio morto degli oggetti, ma in una rete di flussi. Lo spazio è dinamico, perpetuamente co-creato dalle azioni degli individui e nei processi peer-to-peer; la noosfera digitale è un mezzo straordinario per generare segnali che emanano da questo spazio dinamico. Gli individui nei gruppi fra pari, che non sono dunque una forma «trascendente» di individui collettivi, seguono costantemente un comportamento adattativo. Così, il peer-to-peer è globale fin dall’inizio – è qualcosa di incorporato nella sua pratica. Non è un’espressione della globalizzazione, il sistema mondiale di dominio, ma della globalità, la crescente interconnessione delle relazioni umane.

Bisogna considerare il peer-to-peer come una nuova forma di scambio sociale, che crea un’equivalente forma di soggettivazione, e riflette, a sua volta, le nuove forme di soggettivazione. Il P2P, interpretato qui come un ethos positivo e normativo, intrinseco alla logica della sua pratica, benché rifiuti l’ideologia dell’individualismo, non minaccia in alcun modo le conquiste dell’individuo moderno, in termini di desiderio e conseguimento dell’autonomia personale, di autenticità, ecc. Non è un potere trascendente che richiede il sacrificio di sé: è pienamente immanente, i partecipanti non rinunciano a nulla e, a differenza della concezione contrattuale – che è, in ogni caso, qualcosa di costruito  – la partecipazione è del tutto volontaria. In questo modo, ciò che riflette è un’espansione dell’etica: il desiderio di creare e condividere, di produrre qualcosa di utile. L’individuo che si unisce a un progetto P2P mette il suo essere, senza alcuna interferenza, al servizio della costruzione di una risorsa comune. Qui, è implicito un interesse che non riguarda solo il gruppo ristretto, o le relazioni intersoggettive, ma l’intero campo sociale circostante.

Come funziona, rispetto alla conciliazioni fra individuo e collettività, un progetto P2P di successo?

Immaginiamo un incontro di menti proficuo: le idee individuali vengono messe a confronto, e anche modificate nel processo, mediante la libera associazione nata dall’incontro con altre intelligenze. Alla fine quindi emerge un’idea comune – un’idea che ha integrato le differenze, e non le ha sussunte. I partecipanti non sentono di aver fatto concessioni o di essere scesi a compromessi, sentono invece che il risultato comune di questa integrazione è fondato sulle loro idee. Non c’è stata una minoranza sconfitta dalla maggioranza. Non c’è stata «rappresentanza», né perdita della differenza. Questo è un vero processo peer-to-peer.

Un importante mutamento filosofico è stato abbandonare l’universalismo unificante del progetto illuminista, secondo cui bisognava raggiungere l’universalità ricercando, a tutti i costi, l’unità, mediante la trascendenza della rappresentazione del potere politico. Questa unità, però, implicava che si dovesse sacrificare la differenza. Oggi, la nuova esigenza epistemologica e ontologica che il P2P riflette non è l’universalismo astratto, ma l’universalità concreta di un bene comune che non sacrifica la differenza. Questa è la stessa verità che esprime il concetto di moltitudine, sviluppato da Toni Negri e ispirato a Spinoza. Il P2P non si basa sulla rappresentazione e sull’unità, ma sulla piena espressione della differenza.

Queste intuizioni e questi sviluppi vengono espressi anche dai praticanti spirituali contemporanei. Che tipo di cambiamenti possiamo aspettarci nell’espressione della spiritualità?

 

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Terza parte: casi di studio

 

Quella che segue non vuole essere una rassegna completa delle tendenze religioso-spirituali influenzate dai tre paradigmi sopra illustrati, ma piuttosto una selezione di alcune recenti tendenze correlate.

 

Approcci commons-oriented

 

Osserviamo, per esempio, come John Heron integri, in modo specifico, anche il concetto P2P dei beni comuni nella sua visione spirituale del mondo, riconoscendo l’esistenza e dimostrando la necessità di un Global Integral-Spiritual Commons:

Per «spiritualità integrale» (integral spirituality) intendo una spiritualità che si manifesta nella piena incarnazione, nella relazione e nell’interconnessione, nella reciprocità e nella condivisione, nella creatività autonoma e nel pieno accesso ai significati multidimensionali. Per «beni comuni globali» (global commons) intendo uno spazio su scala globale a cui chiunque sul pianeta ha diritto di accesso, e che costituisce un forum globale per la comunicazione fra tutti coloro i quali rivendicano i propri diritti di accesso. Il ciberspazio di Internet è un bene comune globale di questo genere. Il ciberspazio stesso si incarna pienamente nella relazione dinamica fra gli esseri umani e la rete planetaria di computer; è uno spazio generato dall’interconnessione; si basa sulla piena e libera reciprocità della condivisione delle informazioni; è uno spazio illimitato per l’espressione della creatività autonoma; e permette a tutti di accedere a una vasta gamma di significati multidimensionali. È in questo senso che definisco Internet, cioè il cyberspazio, un bene comune spirituale-integrale globale (global integral-spiritual commos). Ha le proprietà e il potenziale di uno spazio integrale-spirituale. Il fatto che questo spazio possa essere usato per scopi osceni o immorali non lo priva, a mio avviso, del suo status integrale-spirituale intrinseco; così come lo status spirituale del libero arbitrio non è in alcun modo minato dall’abuso del libero arbitrio stesso. È proprio questa inalterabilità del suo status – indipendentemente da ciò che viene fatto del dono – che prima o poi esorta a un uso liberatorio e creativo del dono.

 

Lavorare il campo del Noi attraverso circoli di pari

 

Mushin è uno degli insegnanti spirituali che ha dato espressione spirituale a queste intuizioni, passando, innanzitutto, dalla posizione di «insegnante» a quella di facilitatore o mentore spirituale. Ecco come esprime la sua scoperta del Noi, nel quadro della storia della sua conversione in una figura di leader il cui scopo è aiutare gli altri a raggiungere l’autonomia-nella-cooperazione:

È molto bello e c’è ovviamente un senso profondo nel fatto che questo spazio non sia affatto vuoto, ma che fluisca con il Noi che abbraccia ogni cosa. E, come ho detto, il Noi si sta facendo sentire, comprendere, intuire in tutto il mondo e si sta manifestando in molti modi diversi – come persone che vogliono cooperare, collaborare, essere in comunità e comunione, poiché vedono che il tempo degli eroi (i soli centrali), il tempo dei salvatori e dei leader solitari che potrebbero rimettere le cose a posto, è definitivamente finito. Il mondo e i suoi problemi sono diventati così complessi che possiamo sperare di trovare risposte adeguate solo in «circoli» di persone molto diverse tra loro, dove possiamo incontrarci faccia a faccia e a cuore aperto – in una sorta di leadership collettiva, forse. Ed è un processo già in atto su scala globale. Lo spazio che abbiamo ora non basterebbe per citare tutte le iniziative in corso in tutto il mondo. In ogni caso, questo è un aspetto del Noi che si manifesta.
Un altro aspetto è la sensazione di pura affinità con cui famiglie o clan spirituali si ritrovano attraverso paesi e continenti. È come se avessimo scelto secoli fa di riunirci in questo momento critico per il pianeta per essere le levatrici di ciò che desidera nascere. Comunque sia, ci riconosciamo l’un l’altro e c’è una connessione immediata che va oltre le parole, persino oltre la comprensione; tutto ciò che dobbiamo fare è accettarla.
Un terzo aspetto si manifesta attraverso quello che è stato chiamato Essere Circolare , che si manifesta come una forma di ordine superiore dello stare insieme, uniti da un’incredibile coesione che attira a sé gli individui che vi partecipano. Senza dubbio questo è il Noi, che si dimostra estremamente coeso.

Lo sviluppo della facilitazione intersoggettiva

 

In parallelo all’affermarsi della consapevolezza della relazionalità e del campo del Noi collettivo, si sono sviluppate anche pratiche e strumenti che rendono possibile lo sviluppo individuale al suo interno. Alcuni dei più noti sono il Dialogo Bohmiano, l’indagine cooperativa di John Heron e Barbara Langton, il Dialogo Contemplativo di Steven Wirth, l’indagine diadica e triadica di Almaas, ecc. Questi esempi si contrappongono agli approcci di crescita spirituale individuale che per lo più ignorano il campo relazionale e collettivo.

Per illustrare solo una di queste nuove tecniche di facilitazione di gruppo, ecco una descrizione del Dialogo Bohmiano di Bruce Alderman:

Nel Dialogo Bohmiano, ci si sforza di essere consapevoli del movimento del pensiero in diverse dimensioni contemporaneamente: come i pensieri e i «sentimenti» soggettivi che sorgono in ogni momento; come la manifestazione oggettiva delle sensazioni e delle contrazioni del corpo; come i gesti e il linguaggio del corpo dei membri del gruppo; come lo specifico contenuto della discussione in corso; come i modelli di interazione e di conflitto che emergono nel tempo (non solo in una sessione, ma nel corso di più sessioni); come le regole e le convenzioni che possono inibire il flusso del dialogo; e così via. All’inizio è una pratica piuttosto difficile. Ma la si affronta in modo semplice: partendo da una posizione di ascolto aperto e lasciando che il dialogo si svolga nello spazio di consapevolezza stabilito dal gruppo. Alcune convinzioni profonde, presupposti, «regole non scritte», paure e insicurezze, e così via, si manifesteranno gradualmente nel corso di questo processo, via via che le percezioni degli individui nel gruppo non si allineeranno ed emergeranno vari conflitti. Queste credenze implicite, queste forme di condizionamento psicologico e culturale, non sono immediatamente evidenti nella pratica della meditazione solitaria; ma nel dialogo contemplativo bohmiano – soprattutto se sostenuto per un periodo esteso, giorni o settimane – questi schemi inizieranno, a poco a poco, a emergere nel campo intersoggettivo e potranno essere riconosciuti ed elaborati dal gruppo nel suo insieme (o privatamente dai singoli individui una volta conclusasi una specifica sessione).

Bohm sostiene (e posso confermarlo) che la pratica prolungata di questa forma di dialogo, soprattutto se si seguono determinate regole di base, può portare non solo all’emergere della comprensione nei singoli individui del gruppo, ma anche a una sorta di intelligenza collettiva che si manifesta tra i partecipanti – un flusso creativo di consapevolezza e ispirazione che può guidare il gruppo a livelli sempre più profondi di comprensione e comunione. Le convenzioni e le abitudini di pensiero inconsce, i condizionamenti che di solito guidano le nostre reazioni e le nostre negoziazioni sociali, si aprono a un campo vivo di intelligenza reattiva… si tratta, nel lessico di Bohm, della nascita dell’intelligenza di gruppo a partire dal campo in larga parte inconscio del «pensiero di gruppo».

 

Religioni del caos su internet

 

Remi Sussan, autore di un libro sulle utopie postumane, è anche molto informato sulle nuove forme che la religione sta assumendo in rete, e osserva quanto segue:

Negli ultimi due decenni si è manifestata una nuova tendenza in seno all’occultismo che, per molti versi, rovescia le caratteristiche comuni alle dottrine esoteriche tradizionali. L’occultismo privilegiava la segretezza – i nuovi occultisti fanno tutto alla luce del sole; l’occultismo si fondava su sistemi gerarchici, sull’ordinamento – i nuovi occultisti deridono la gerarchie e preferiscono il disordine all’ordine; l’occultismo proclamava di essere una saggezza proveniente dal lontano passato, una prisca theologia – i nuovi occultisti non esitano minimamente a rivendicare la propria modernità, e rendono sempre più labile il confine che separa religione e immaginazione servendosi immagini provenienti dalla cultura pop: Mr Spock, Buffy l’Ammazzavampiri o addirittura Bugs Bunny.
Conosciuta con vari nomi: «chaos magick», magia pop, magia postmoderna, questa corrente è a tutti gli effetti una decostruzione del pensiero esoterico tradizionale. È anche uno dei primi movimenti spirituali egualitari e non autoritari. L’enfasi posta sul «caos» in questo movimento tende a dimostrare come non sia solo la spiritualità gerarchica a venire messa in discussione, ma in realtà la nozione stessa di «ordine».

 

Una delle ultime manifestazioni di questa tendenza è il movimento Ultraculture, promosso da Jason Louv di Disinfo.com. Si tratta di

un movimento culturale basato sull’interesse di massa per la magia, e sulla necessità condivisa di utilizzarla per migliorare questo nostro mondo profondamente disturbato.
Ultracultura significa due cose nello specifico:
È il nome di un sistema di networking sociale. In particolare, l’idea alla base dell’«Ultracultura» è quella di applicare il modello di Indymedia alla magia, e di creare delle «scene» cittadine aperte, organizzate a partire da mailing list e pagine web, in cui le persone possano entrare in contatto con persone della loro zona interessate alla magia, all’esoterismo, all’evoluzione della coscienza, ecc.; discuterne in termini di applicazione alle loro esperienze e alle loro comunità, e quindi stabilire il loro livello di attività e coinvolgimento all’interno di questa rete in espansione.
L’Ultracultura NON è un altro ordine, gruppo o gerarchia magica, né un altro forum di discussione; in questa veste è solo un sistema di collegamento sociale su scala locale e globale. L’occultismo è stato tradizionalmente una ricerca della figura dell’«Estraneo»; l’Ultracultura punta invece a situare, in maniera più decisa, la magia come attività comunitaria.

 

Religioni Open Source

 

Ecco un’altra forma di espressione contemporanea che considera la conoscenza spirituale una proprietà collettiva dell’umanità, che deve quindi essere disponibile in forma «open source» e che può essere liberamente e co-creativamente modificata e adottata da vari individui e comunità.
Wikipedia  osserva che

 le religioni open source cercano di utilizzare metodologie open source nella creazione di sistemi di fede religiosi. In quanto tali, i loro sistemi di fede sono creati attraverso un continuo processo di dialogo e perfezionamento fra gli stessi credenti. Queste, a differenza delle religioni tradizionali, considerate autoritarie, gerarchiche e restie al cambiamento, enfatizzano la partecipazione, l’autodeterminazione, la decentralizzazione e l’evoluzione. I seguaci si considerano parte di un più ampio movimento open source, che non si limita al software, ma applica gli stessi principi ad altri progetti, organizzati e di gruppo, per la creazione di diversi artefatti culturali umani.

L’articolo citato fornisce alcuni esempi, tra cui il tentativo poco riuscito di Douglas Rushkoff di avviare un processo per la creazione di un ebraismo open source.

 

Verso una spiritualità contributiva

 

Gli esempi sopra riportati mostrano che i tre cambi di paradigma, benché ancora in fase emergente,   iniziano a manifestarsi in diverse pratiche spirituali contemporanee. Il che suggerisce un nuovo approccio alla spiritualità che vorrei chiamare spiritualità contributiva. Questo approccio considera ogni tradizione come un insieme di ingiunzioni inserite in un contesto specifico, che può rivelare diverse sfaccettature della realtà. Questo quadro può essere influenzato da un insieme di valori (patriarcato, dottrine di verità esclusive, ecc.), che oggi potrebbero venire rifiutati, ma include anche pratiche psico-spirituali che rivelano determinate verità sul nostro rapporto con l’universo. La scoperta della verità spirituale, quindi, richiede almeno una parziale esposizione a questi metodi differenziali di scoperta della verità, in un contesto comparativo, ma richiede anche un feedback intersoggettivo. Si tratta quindi di una ricerca che non può essere intrapresa da soli, ma insieme ad altri sullo stesso cammino. La tradizione non viene quindi rifiutata, ma vissuta e valutata criticamente. Il praticante spirituale moderno può ritenersi legato a una particolare tradizione, ma non deve esserne limitato. Può creare circoli di ricerca spirituale in cui avvicinarsi alle diverse tradizioni senza pregiudizi, sperimentandole individualmente e collettivamente, e in cui le diverse esperienze individuali possano essere scambiate. In questo modo, si crea un nuovo corpus collettivo di esperienze spirituali, che viene costantemente co-creato dalle comunità spirituali e dagli individui impegnati nella ricerca. Il risultato di questo processo sarà un’imprevedibile realtà co-creata che creerà nuovi modelli spirituali non ancora immaginabili. Ma una cosa è certa: si tratterà di un approccio aperto e partecipativo che risulterà in un patrimonio di conoscenze spirituali a cui tutta l’umanità potrà attingere.

 

Nota

Stesura preparatoria, tratta da P2PF Wiki, di un saggio scritto per la rivista ReVision nel 2007. Versione senza note e riferimenti. L’articolo originale da cui il titolo del testo prende spunto è The next Buddha may be a Sangha  (Il prossimo Buddha potrebbe essere un Sangha) di Thich Nhat Hanh.

Traduzione di Valerio Cianci.

Pubblicato con licenza CC BY-SA 3.0

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